La scuffia …… questa
sconosciuta
(o come dice qualche dinghista:
il Dinghy non scuffia… fa naufragio! o forse non è vero)
Sono graditi ed anzi richiesti commenti, note, esperienze,
immagini e tutto quanto contribuisca a riportare nella
giusta luce questo spiacevole evento.
Inviate i vostri testi a: flotta_dinghy@velaverbano.it
Storia di una scuffia (di Emanuele
Tua)
Il 26 dicembre mi sono dato appuntamento
a Genova per un allenamento. ……
Il vento rinfresca ancora un pochino e siamo sui 7 m/s, ovviamente rafficato e chiazzato, come la tramontana a Genova impone.
……Non saggiamente, tiro su la deriva quasi del tutto ed in un nano-secondo
Orietta Cube mi è partita in strapoggia, scuffiando
sopravvento alla velocità del suono. Subito si è rovesciata a 180°.
Bene,
anzi, male. Inizio le operazioni di raddrizzamento fatte tante volte su barche
differenti. Salgo sulla pancia della barca e qui la prima difficoltà; la deriva
è tutta rientrata nella scassa. Impossibile tirarla fuori a mani nude.
Allora ho preso una manovra corrente, che
era rinviata sulla falchetta e galleggiava. Ho fatto una gassa e, con il cappio
ottenuto, ho agganciato la lama di deriva alla sua estremità più a poppa e
vicino alla chiglia, facendo passare la cimetta tra la cassa e la deriva
stessa, per ruotarla fuori. Altro problema: la manovra della deriva è,
ovviamente, strozzata sulla cassa della deriva in pozzetto, quindi è
impossibile tirarla fuori.
Riscendo
in acqua e mi spingo sotto alla barca per cercare di distrozzare la manovra. In quel casino che c'è sott’acqua
mi viene da pensare che, se una qualsiasi scotta mi si attorciglia ad una
gamba, sarebbe un bel problema sciogliersi dal groppo.
Nel
pozzetto sottosopra ho verificato che non rimane una
bolla d'aria sufficientemente alta da poterci far emergere la testa e respirare
agevolmente, come per esempio succede in 420 o in 470.
Tutto
ok. Tolto la cimetta della deriva dal suo stozzascotte.
Ritorno
sulla barca, riaggancio la deriva con il cappio e la tiro fuori. Ottimo!
Ora
mi viene da pensare che se non avessi avuto le due
piastre di ritegno sulla deriva (ancora non obbligatorie), probabilmente si sarebbe
sfilata dalla scassa e sarebbe andata a fondo o, nella migliore delle ipotesi,
avrebbe penzolato in profondità trattenuta dalla cimetta con tutto il pasticcio
successivo di ritirarla a bordo e rimetterla nel suo alloggiamento. Da notare
bene che, senza deriva la barca diventa ingovernabile, anche in poppa. Ora, con
deriva aperta, il gioco si fa più semplice.
Mi
ci appendo, e con la barca a 90° le salto sopra. Altro punto dolente: il bordo di uscita della deriva è estremamente affilato. Finché la mano si chiude e fa presa senza scivolare, tutto
va bene, ma se per un qualsiasi motivo le dita scivolano, il taglio è certo.
Come proponeva il
saggio Penagini, il bordo d'uscita DEVE essere
piatto o arrotondato con un raggio di almeno un millimetro. Ora la barca si raddrizza
in un marasma di cimette da tutte le parti. Il vang è ancora cazzato e Orietta
pensa bene di rifarsi un altro bagno. Questa volta sono veloce e non la lascio andare a 180° ma la raddrizzo subito. Il pozzetto
e pieno d'acqua e per non rischiare altri disastri, rimango in acqua e aspetto
un minuto che si svuoti da solo.
Qui
benedico l'ingegnere Arcaini
che ha realizzato questa genialata degli ombrinali
che ti permettono di svuotare il pozzetto anche a barca ferma. Bon, tutto ok.
Risalgo in barca, metto ordine ……. Rientriamo che è ormai calato il sole e
abbiamo disarmato alla luce di un lampione.
Carichiamo le nostre amate barche e finalmente mi cambio. La muta da sub
ha fatto il suo dovere tenendomi al caldo, come il giubbotto salvagente nuovo,
ovviamente sempre indossato. Lo spray top, indossato
sopra a tutto, mi ha protetto dal vento freddo. Mancava solo il cappello di
lana che avrei messo moooolto volentieri. In definitiva tutto mi è andato bene: ero in ottima compagnia di un
buon marinaio, che all'occorrenza avrebbe saputo cosa fare; ero ben vestito e
con il salvagente addosso; non mi sono fatto male ed ero al largo quindi senza
il pericolo degli scogli; la scuffia è stata dettata da una normalissima
ricerca della velocità, peraltro abbastanza comune tra i regatanti.
Non
ho commesso grossi errori e tutto è filato bene. Ma cosa sarebbe successo se......
se mi fossi tagliato con la deriva; se non avessi avuto le lame di ritegno
della deriva e l’avessi persa; se fossi stato più stanco o non vestito a
dovere; se fossi stato solo e senza mezzi per chiamare soccorso (sia io che
Paco avevamo il telefonino e il VHF); se non avessi avuto il sangue freddo di
andare sott’acqua a liberare la rotazione della deriva; se fossi stato vicino
agli scogli di un porto o in prossimità di una spiaggia con le onde che ti
portano a sbatterci contro; se non fossi stato in buona forma fisica; se, se,
se...
A
terra, con la calma un po’ innaturale che deriva dopo un momento di difficoltà,
Paco ed io ci siamo detti, tra l’indignato e
l’incredulità che, mentre eravamo nel pieno dei casini, è passato, a non più di
trecento metri da noi, un grosso motoscafo che..........non ha neanche rallentato!
Da denuncia! O, meglio, da spaccargli la faccia!!
Qualche
piccola considerazione: Dalla prossima volta mi porterò un coltello da tenere
in tasca. Facilmente non mi servirà mai, ma meglio così; arrotonderò il bordo di uscita della lama di deriva per non rischiare di
affettarmi le dita; metterò una cima (semmai quella di rimorchio) legata alla
panca centrale in modo da usare quella per raddrizzare la barca, senza usare la
deriva; porterò sempre il telefonino in
una custodia stagna; vicino alla riva o moli, mai rischierò manovre azzardate;
armerò la ritenuta della deriva in modo tale che non si possa alzarla più di tanto…come
sempre Penagini insegna! (Emanuele
Tua su Orietta Cube)
La chiosa tecnica
(di Vincenzo Penagini)
Ci avevo pensato un po'
di tempo fa e ora lo voglio fare sulla mia barca per
evitare di andare "sotto" a mollare lo strozzatore della deriva. In
pratica alla cimetta che tira su la deriva e che nella maggior parte dei casi
ha lo strozzatore sul lato della cassa legherei un elastico molto sottile e
facendolo passare per l' incavo del remo di poppa lo
legherei all' agugliotto superiore sullo specchio di poppa; e non credo che dia
fastidio alla manovrabilità del timone. In pratica a barca rovesciata dovrebbe
essere possibile recuperare attraverso l' elastico la
cimetta della deriva e sapendo come è posizionato lo strozzatore sbloccarlo allungando
solo le mani sotto la barca rovesciata con un colpo secco sulla cima tesa. In
questo modo con l' aiuto dell' elastico che tira nell'
altro senso dovrebbe essere facile estrarre tutta la deriva, senza fare quello
che ha fatto Emanuele di andare sotto; con onda fa paura perché il salvagente
spinge in alto, il doppiofondo in basso e pigliarsi un colpo in testa o
rimanere impigliati è facilissimo! Lo monterò e al prossimo " tuffo",
che spero di fare presto, Vi saprò dire come va.
Esperienze di scuffia (di Paolo Corbellini)
Dopo aver letto l’istruttivo
articolo di Emanuele TUA (e la risposta di Vincenzo)
mi sono chiesto come risolvere al meglio il problema della scuffia a 180°.
Premetto che posseggo un Nauticalodi ultima generazione con fori di
svuotamento che funzionano ottimamente per cui la scuffia a 90° è un gioco da
ragazzi. Unico accorgimento che suggerisco a tutti (copiato
da Liliana De Negri): una cima in nailon con un anello al fondo con un tubetto
di plastica da elettricista che funge da gradino legato al bullone che sostiene
l’agugliotto superiore per avere una leggerissima scaletta per risalire da
poppa senza alcuno sforzo. Si infila il piede
nell’anello, ci si attacca all’archetto et voilà
l’ombelico è sopra l’archetto ed è facile entrare in barca senza particolari
sforzi.
Il Nauticalodi si svuota per
vasi comunicanti (anche da fermo). Se si aspetta a salire a bordo
si svuota prima (circa due minuti), se si sale occorre circa il doppio, ma dopo
un minuto o meno si può navigare tranquillamente.
Per riuscire a raddrizzare da solo la barca dopo una della scuffia a 180° mi sono attrezzato con le seguenti
soluzioni:
-
deriva con piastra di ritegno su entrambi
i lati per evitare la perdita se rovesciata
-
manovra della deriva in continuo con doppio
strozzo per poterla bloccare in ogni posizione (sia abbassata che alzata)
-
una cima con gancio ad U da incastrare sul bottazzo
all’altezza della panca centrale da buttare al di là dello scafo e da usare per
raddrizzare la barca da 180° a 90°. Tengo la cima fissata con un velcro alla
parte interna dello specchio di poppa (che ho scoperto a barca scuffiata rimanere più a galla della prua).
Dopo di che sono passato a
prove pratiche:
Prima prova scuffia a 180° con deriva abbassata
Tutto funziona bene; si
prende la cima, la si incastra al bottazzo,
si gira intorno alla barca, si prende la cima dall’altro lato e si tira
mettendo i piedi sul bottazzo
rovesciato, quando la barca arriva a 90° ci si attacca alla deriva (attenti
alle mani!) ed il gioco è fatto. Una unica
considerazione da tenere presente: il dinghy, almeno quelli col doppio fondo ha
il doppiofondo all’altezza dell’acqua una volta rovesciato e quindi niente aria
sotto lo scafo (la poca che c’è appena la barca si rovescia esce dai fori per
lo svuotamento. Se occorre immergersi per liberare delle cime
occorre farlo in apnea.
Seconda prova: idem ma con deriva tutta sollevata (e bloccata)
All’inizio sembra tutto OK,
la barca arriva facilmente fino a quasi 90° e poi torna al punto di prima, infatti il peso della deriva fa sì che non si riesca a
completare il raddrizzamento. Non è possibile raddrizzare (almeno da soli) la
barca in queste condizioni, occorre immergersi, liberare la deriva, abbassarla usando la cima apposita (o
con il metodo TUA) e solo allora provare a raddrizzare la barca.
Da ultimo: quest’estate al Master, mi è
successo di scuffiare non volontariamente a 180° tornando a riva. Sicuro delle
mie soluzioni, mi accingo a fare tutto con calma disprezzando le offerte di aiuto. Ahimè non riesco nel modo più assoluto a venirne a
capo. Dopo qualche minuto vengo aiutato da Franco Paganini e con somma fatica riusciamo in qualche modo a
raddrizzare la barca. Dove stava il problema? Il picco
era conficcato nel fondo, non bisogna sottovalutare
che albero più picco si arriva a circa 5/6 metri di profondità